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Angela Bonanno, Antologia della malata felice www.forme-libere.it – info@forme-libere.it Prima edizione: dicembre 2011 – Printed in Italy In copertina: Jump, Berndt Sjösten Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente priva di cloro. Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina All’improvviso dal riso si fece il pianto dalle bocche unite si fece la spuma e dalle mani distese si fece la meraviglia. All’improvviso dalla calma si fece il vento che dissolse dagli occhi l’ultima fiamma e dalla passione si fece il presentimento e dal momento immobile si fece il dramma. All’improvviso, non più che all’improvviso non fu più triste colui che diventò amante Si fece dell’amico vicino quello lontano si fece della vita un’avventura errante all’improvviso, non più che all’improvviso. Non hai nessun tipo di dolore fisico, è l’unico dolore che un uomo può comprendere. Era seduta sulla tazza del cesso, si era trascinata con fatica fino al bagno dopo un paio di tentativi di alzarsi dal letto. Da un po’ di tempo non si sentiva bene, aveva avuto uno sve- nimento e dei dolori fortissimi alla gabbia toracica. Sua ma- dre l’aveva ripresa, ti piace andare in giro mezza nuda anche d’inverno, allungandole pillole e consigli. Sua madre aveva un rimedio per ogni dolore che fosse alla testa, alle ossa o nel cuore. E sembrava che i medici le dessero ragione, Lexotan per curare l’ansia che l’aveva divorata per mesi e Prozac per restituirle la voglia di vivere. Lei da vera depressa sputava il Prozac e raddoppiava la dose di Lexotan. Desiderava solo dor- mire, sperava che i rumori del mondo le giungessero attutiti, di non essere costretta ad ascoltare la voce di esperti in storie finite e i loro pronostici, vedrai non durerà, tornerà sui suoi Non era successo. Via lui e con lui la forza dalle gambe. Camminava appoggiata a stampelle d’aria. Lavorava aggrap- pata alla scrivania, come un deportato, non sapeva se deside- rasse di più il pane o la libertà dal desiderio di pane.
nelle acque vitree, nella rete d’alghe, prima di credere alfine alla semplice Era finita in terapia, la figlia sullo sfondo, troppo grande per non essere lasciata sola, troppo piccola per non restarne coin- volta. Seduta sulla poltrona di pelle marrone di fronte allo psicoterapeuta, una striscia di luce penetrava dalla finestra socchiusa, le mani abbandonate, stordite dai farmaci, agoniz- zavano come due pesci spiaggiati sulla gonna color sabbia. Vede dottore, lui è la mia gamba in cancrena, mi condurrà alla morte, tranne che me la lasci amputare, ma lei capisce dottore, vivrò per sempre senza una gamba. Il medico, gli occhi lacrimanti per una terribile allergia, annuiva. In un film muto sarebbe stata un’altra storia, un’altra vita.
Il terapeuta abbassava la testa, va bene così, diceva, adesso è nell’occhio del ciclone, ma una volta fuori sarà per sempre.
Così poco alla volta aveva preso a impegnarsi sul lavoro, risollevandosi. Smise di lagnarsi delle sue disgrazie e le amiche ricominciarono a invitarla a uscire, si fece coinvolgere in si- tuazioni che normalmente fuggiva, come andare per esempio in discoteca. Con la musica a volume così alto da massacrare i pensieri, sostenuta da un campari di troppo, per due sabati di seguito si lasciò abbordare. La prima volta da un ragazzo che poteva avere sì e no l’età di sua figlia, gli offrì il suo seno, in un rito antico, di ritorno alla madre. La volta successiva si lasciò sedurre da un uomo maturo, avvenente, ex giocatore di rugby, con il naso e un mignolo rotto. Decise all’istante di non rivederlo mai più, non tanto perché noioso, quanto per un’eiaculazione precoce che l’aveva lasciata troppo indifferen- te perché valesse la pena di riprovarci ancora.
Un insetto viscido le colò giù dal naso, cadde sulla foto di Lalla Romano che dalle pagine del giornale alle domande sul suo matrimonio con un uomo molto più giovane, aveva ri- sposto: viene un tempo in cui l’amore si fa soltanto nei sogni. Un garofano rosso le allagò il viso. Mirna si portò la mano sotto il mento, raccolse una piccola pozza di sangue. Un tre- no di paura le corse lungo il corpo e si arrestò con un fischio sordo facendole esplodere gli orecchi. La distanza tra il water e il lavabo si era improvvisamente dilatata, si alzò, le cadde la rivista dalle gambe. Lo specchio le parlava un alfabeto scono- sciuto, un corvo nero le fece ombra sul viso. Dove erano finiti il colore delle sue guance e i versi di Neruda. Ebbe un vuoto temporale, per alcuni attimi non seppe dov’era, se stava per andare a dormire o si fosse appena alzata.
Riaprì gli occhi, un cielo di luce al neon illuminava il tragit- to della barella che la trasportava. Mia, sua figlia, le cammina- va accanto, un sorriso di gesso le contraeva la faccia, gli occhi strangolati dalle lacrime. Nella stanza la dottoressa trafficava con sacche di sangue e piastrine, lei recuperò il ricordo della In quel luogo non era necessario sapere in quale parte del- la giornata ci si trovasse. Mirna scelse il mare, decise di non restare inchiodata a quel letto e se la svignò dal suo corpo. Raggiunse l’isola e guardò davanti a sé l’acqua color unico paradiso terrestre possibile. I raggi del sole la cercarono, la trovarono e si fece il giorno. La voce di Mia la sottrasse alla vacanza. Sua figlia impacchettata in un sudario verde e sterile Di solito era estate. Ci coglieva nel sonno, mi coglieva nuda nel Trambusto e sudore. La casa accaldatissima, spalancata la porta, s’inebriava. Entrava l’odore del gelsomino, invasivo, invadente. Giù dal letto infilavo una canottiera striminzita, grande per la Dalla notte si staccava la sua figura piccola e nera, viveva lonta- no, arrivava viaggiando di notte. Lasciava fuori la notte e irrom- peva nell’unica stanza, una casa, la mia. Prima di tutto piangeva e baciava mio padre, cioè la sua foto. La fronte, la mia, appena mia madre. Tra il letto e l’armadio posava la nera legata panciuta valigia, notte nella notte. Bagaglio, cappello a cilindro, sorpresa. Reggiseno imbottito, appuntito per mamma e calze di nailon. Fuori la notte spingeva nel loculo i suoi piccoli gelsomini abba- Cioccolato nero fondente, francese, notturno, scarto, sregalo per me. A ogni riaprire d’occhi la luce era sempre la stessa, un panora- ma di camici bianchi si affannava intorno.
Alekos Panagulis, tra le mani dei colonnelli.
Una dottoressa troppo bella, come in una fiction, lasciava che le dita incerte e inesperte degli specializzanti le scavassero le ossa, a Mirna non restò che implorare. Supplicando ebbe in Nel delirio Mirna tirava fuori retaggi infantili. Sentiva la voce del prete che voleva confessarla prima della prima co- munione e lei disperata perchè non le veniva in mente nulla. Nessun peccato. Su, su via bambina, liberati dai peccati.
Mirna allora inventò una bugia, disse che aveva rotto il ter- mometro per sbaglio, gli era scivolato dalle mani mentre lei lo riponeva dopo averlo osservato da vicino e che per paura di essere punita aveva addossato la colpa a sua cugina più piccola perché credeva che nessuno l’avrebbe punita. Invece era stata picchiata e Mirna si era sentita un verme. Il prete sembrava soddisfatto ma la verità era che Mirna aveva rotto di propo- sito il termometro perché voleva vedere correre il mercurio come l’aveva visto a scuola durante la lezione di scienze e pro- Io non volevo disse a Mia che le teneva la mano, io volevo scappare con Mercurio che domina il mio segno.
Nei momenti di lucidità Mirna pensava che certe cose ac- cadono per capire il mondo, per essere più vicini agli altri. Ripercorreva strade fatte nei viaggi, le venivano alla mente le immagini dei ragazzini che sniffavano colla per le vie di Buca- rest. Dio aveva inventato l’orrore ma anche la droga.
La morfina è fonte di salvezza di tutti i mali del mondo.
Sprofondò in un sonno strano e quando si riebbe non ricor- dava né come si fosse addormentata, né quanto avesse dormi- to e vide Norma, sua sorella. Forse fu lei a svegliarla perché le Norma viveva a Londra ormai da molti anni, lì si era sposata Norma non piangeva ma questa volta nemmeno strillava come succedeva quando si incontravano. Litigavano spesso, erano incompatibili. Anche se, da quando stavano lontane, le cose erano migliorate perché si vedevano poco.
Lei era l’esatto contrario di Mirna e sarebbe stata la madre perfetta per Mia, almeno secondo i desideri di sua figlia. Per- ché viveva a Londra, era ordinata, nella sua casa si trova facil- mente ogni cosa. Perché c’è sempre qualcuno meglio di noi.
Era la più piccola e poteva sembrare la più indifesa, quella dei suoi abiti dismessi. Era la più pulita, quella che prima di andare a dormire devi lavarti anche i piedi. La batteva in tutto e adesso era lì, aveva abbandonato per il momento il marito e aveva preso un congedo dal lavoro e mentre le stritolava la mano, le diceva, sono qua per te, per Mia e per ora non ri- torno, e Mirna non poteva dirsi certa di essere capace in caso Norma batte Mirna uno a zero più un punto interrogativo.
Non aveva avuto figli, Norma, togliendo a Mirna la possibili- tà di un nipote che potesse preferirla come madre.
L’effetto della morfina si era dissolto al suo risveglio e faceva troppo male vedere Norma con gli occhi pieni di una lucida disperazione che non la rimproverava per qualcosa.
Non vale, disse Mirna, tocca sempre a te essere la migliore. Ma non potrai esserlo a lungo perché quando non ci sarò più, tu continuerai a vagare per il continente e farai tutte quelle cose banali dei vivi e un mucchio di sciocchezze e io sarò perfetta nella mia morte e non ti darò altri pensieri, i morti tolgono i pensieri e l’english man tuo consorte sarà contento e forse anche Mia ne sarà felice, potrai finalmente adottarla e Cercava la lite ma Norma le sorrise e disse, vuoi che faccia Mandami affanculo, disse Mirna, come sai fare tu.
Inseguimi, prendimi se ci riesci, che ho le tue scarpe ai piedi Da bambine si erano insultate e anche picchiate. Mirna non credeva nella proprietà, apro l’armadio e quello che trovo mi metto. Norma aveva una cura meticolosa per i suoi vestiti e i suoi oggetti in generale, e poi non sopportava l’odore della so- rella che restava attaccato ai suoi abiti e se Mirna li indossava di nascosto, Norma se ne accorgeva e diventava impossibile Mirna leggeva seduta nella piazza della stazione, oppure guardava i treni partire, alzava gli occhi e scrutava il cielo.
Norma lavorava durante le vacanze estive, industriosa e for- Mirna ammirata e invidiosa delle capacità e fermezza della Norma critica dell’instabilità della primogenita, che non sai Pete le aveva messe d’accordo per una volta. Era entrato nelle loro vite come un refolo di vento per poi impennare improvviso in grecale. Era piaciuto alle due sorelle appena lo avevano conosciuto. Norma si era trovata subito coinvolta dalla sua compagnia, perché era un casinaro, sempre circon- dato da amici e tra gli amici il più simpatico. A Mirna, perché faceva fatica a invaghirsi delle persone che la circondavano ed era convinta che tra quella tipologia di gente nessuno rima- Invece era accaduto. Pete l’aveva corteggiata con mille do- mande e centinaia di battute spiritose e aveva catturato il suo cuore, sollevandola dal carico che la società le imponeva. Nei primi anni di matrimonio era stato il suo ufficio stampa, poi le aveva insegnato senza volerlo, con l’esercizio della sua sfrontatezza, a cantare intonata e a stare tra la gente.
Oggettivamente tutti a dire che sarebbe stato un marito più adatto a Norma con la quale però era nata un’amicizia imme- diata che si era talmente solidificata che nella separazione tra sua sorella e Pete, Norma aveva patteggiato per quest’ultimo. Mentre con Mirna era scattato l’innamoramento che poi era degenerato nel matrimonio tra lo stupore di tutti, perché Pete Annusami disse Mirna, con la mano svenuta che giaceva tra Annusami e passami la tua camicia, che ho perso il mio

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