Emilio Renzi Un caso emblematico: l’olivetticidio
Comunicazione al Convegno del Labouratorio Bruno Buozzi Torino
Torino e l’industria: cronaca di una fine annunciataTorino, sabato 27 novembre 2010
Premessa per chiarezza: taglio e limiti del presente Convegno impongono una decisa sintesi nella trattazione delle vicende della Società della Ing. C. Camillo Olivetti & C. di Ivrea (Torino).
Fondata nel 1908, la data della chiusura ossia della cancellazione del
nome dal listino della Borsa è il 12 marzo 2003.
Sono passati sette anni dalle dimissioni di Carlo De Benedetti; il
presidente è Marco Tronchetti Provera (Pirelli/Telecom), succeduto nel 2001 a Roberto Colaninno. A sua volta Carlo De Benedetti era stato alla guida della Società dal 1978 quindi per diciotto anni. Altrettanti erano corsi dalla morte (27 febbraio 1960) di Adriano Olivetti, tornato alla guida della Società nel 1946, al rientro da Roma dopo nell’esilio in Svizzera (a non considerare in quanto remota benché importante la guida dal 1932 alla guerra).
Abbiamo così cicli relativamente omogenei: Adriano Olivetti un quindicennio; diciotto anni i successori di
Adriano ossia (in blocco) Giuseppe Pero, Bruno Visentini, Ottorino Beltrami, Marisa Bellisario. Altrettanti, sappiamo, De Benedetti. La fine finale è convulsa com’è giusto quando si tratti di “caduta dei gravi”: sette anni tra Colaninno (cinque). e Tronchetti Provera (due). Cicli temporalmente omogenei – ma quanto qualitativamente diversi!
I primi due (Adriano – i suoi successori) si accordano, il secondo sia
pure senza lo smalto e l’originalità del primo. Turning point è allora il 1978 – l’ingresso di Carlo De Benedetti. Non è il secondo tempo di una stessa storia che necessariamente il tempo e i tempi sottopongono a dinamiche e cambiamenti; è il primo tempo di un’altra storia. La storia dell’olivetticidio. 2. La Olivetti di Adriano Olivetti
In forza della Premessa, obbligherò me e il lettore a un ritratto schematico o per soli tratti salienti della Olivetti di Adriano Olivetti:
una internazionalizzazione incessante senza mai perdere la radice in
progetti che si facevano processi, che creavano prodotti sempre
sviluppi nell’organizzazione industriale e nella diffusione
commerciale tramite sapienti politiche del personale, della formazione, della partecipazione, dei rapporti con i sindacati.
Taccio del design, delle architetture, della cultura in fabbrica e nelle
metropoli mondiali, della comunicazione grafica e scritta.
Innovazione nell’elettronica per l’elaborazione dati (Pisa 1955,
ELEA 1959). Quando Vittorio Valletta subentrato come “gruppo di salvataggio” con la crisi finanziaria del 1962 dichiara che la Olivetti è ottima ma ha un “neo da estirpare” – la Divisone Elettronica costa troppo! – sarà non solo “l’occasione perduta” come dice il titolo del libro di Lorenzo Soria, è stata la sconfitta e scomparsa dell’ala marciante dell’intera industria italiana (aggiungiamo pure: europea).
Quando Adriano nel 1934 prese in mano la Olivetti del padre i
dipendenti erano 1000, nell’imminenza della guerra sono 2mila, alla ripresa superano i 4mila. L’anno dopo della scomparsa di Adriano (1961) sono 22mila in Italia, 25mila all’estero. Diciotto le Consociate.
In sintesi: la Olivetti di Adriano Olivetti è stata (e resta) un
paradigma. Per paradigma si intende un complesso di regole metodologiche, modelli esplicativi, criterî di soluzione di problemi, la cui validità permane oltre ogni lavorio del tempo. 3. La Olivetti dal 1961 al 1978: Visentini, Beltrami (dal 1971), Piol, Bellisario
Pur senza rifarsi esplicitamente alla figura e ai valori di Adriano Olivetti, dell’olivettismo e dello spirito e pratica del Movimento di Comunità (che si era autodissolto con la morte stessa di Adriano e Adriano e la sua aura entrarono in una sorta di cunicolo carsico da cui sarebbero riemersi in carismatico richiamo negli ultimi dieci anni), la composita dirigenza Visentini/Beltrami/Piol/Bellisario aumentò fatturato e dipendenti e stabilimenti e linee di prodotto.
Sono gli anni dell’”informatica distribuita”: i prodotti informatici
cominciano a rosicchiare quelli meccanici ed elettromeccanici, in progressione percentualmente significativa. Vi è insomma una continuità di
trama con almeno un episodio molto importante: la P101 (Programma 101), progettata dall’ingegner Pier Giorgio Perotto con quel che si era salvato dalla liquidazione del gruppo Elea/Divisione Elettronica. Ebbe fortuna ma non seguito: furono gli americani a definirla “il primo desktop computer al mondo”. Il bilanciamento Canavese/multinazionali continua. Nel 1976 i dipendenti sono 32mila in Italia, 34mila all’estero.
4 Il passaggio di proprietà del 1978 e la Olivetti di Carlo De Benedetti/Gruppo CIR
Due affermazioni correnti presidiano l’ingresso di Carlo De Benedetti proprietario del Gruppo CIR dopo gli intensi e meteorici “cento giorni” come A.D. della Fiat di Gianni Agnelli (Visentini resterà presidente formale per alcuni anni): aver rilevato un’azienda sull’orlo della bancarotta; averla, lui, risolutamente trasformata da meccanica a elettronica. Due affermazioni inesatte: la prima per eccesso la seconda per difetto.
La prima ha un certo fondamento: per motivi di equilibri tra soci
esterni e soci familiari nessuna capitalizzazione era risultata possibile e l’impasse aveva generato un indebitamento molto forte che aveva fatto dimenticare i bei margini generati dalla Divisumma e dalle altre meccaniche degli anni Cinquanta/primi Sessanta. (Aggiungo che l’accusa portata alla scelta sbagliata di Adriano di acquistare la Underwood negli USA non regge perché con essa si sarà aperta di fatto una proficua rete di vendita negli States.) La ricapitalizzazione di De Benedetti fu accompagnata dalla vendita di beni immobili della società e da una prima “ristrutturazione del personale” (leggi: licenziamenti di 1.000 persone in Italia, 4mila all’estero). Una decisione senza precedenti nell’ormai ultrasessantennale storia della società).
Anche la seconda affermazione va ridimensionata: già nel 1973 il
peso dei prodotti elettronici assommava al 38%, il sorpasso avviene con il 54% nel 1980. Del resto basti considerare che se la ET101 (prima macchina per scrivere elettronica al mondo) è proprio del 1978, progetto, ingegnerizzazione e quant’altro dovevano essere maturi per una così immediata messa in produzione.
In ogni caso il capitale sociale è portato in un anno e mezzo da 60 a
Nel giro d’anni tra i Settanta e gli Ottanta del Novecento in
California i ragazzi in scarpe da tennis hanno inventato nel garage dietro casa il personal computer per ogni singola scrivania al mondo. Le industrie dell’elettronica di consumo e quelle dei grandi elaboratori si ritrovano nella dura frizione tra “la maledizione del conglomerato” e “la tentazione del computer”, per usare le parole dell’autorevole storico dell’industria Alfred
D. Chandler. Un conflitto “epico”, lo definisce Chandler, perché vedrà vincitori e morti; e molti dei primi non resteranno tali a lungo. Chandler riserva alla Olivetti un onorifico paragrafo, che intitola ”Olivetti: l’unico importante costruttore in Europa di personal computer”.
L’apoteosi e caduta dell’informatica olivettiana/italiana si gioca in
effetti nella contrastata successione dal primo pc dell’Olivetti l’M20 (1982) e il secondo – l’M24 (1984). Il primo è un progetto interamente olivettiano; ha a bordo un sistema operativo proprietario; italiani componenti e produzione. Il secondo è industry standard cioè adotta il sistema operativo dell’IBM; è compatibile su scala mondiale; montato a Ivrea, è venduto trionfalmente negli USA e nel mondo grazie all’accordo strategico firmato da De Benedetti con la potente AT&T (1983-1989). Vittoria di Pirro, ché da first mover Olivetti è diventata follower. Chandler conclude affermando che il mancato aiuto del governo, le capacità di scala inferiori a quelle statunitensi e giapponesi e la conseguente impossibilità di reagire alla sopravvenuta spirale crollo dei prezzi/diminuzione utili/indebitamento, decreteranno l’uscita dell’Olivetti dal mercato dei pc e alla fine dal mercato tout court. Per onestà bisogna comunque ricordare che il 1986 vide il bilancio di maggior successo nella storia della società, con un utile netto pari a 486 mld di lire. I dipendenti erano 29mila in Italia, 30mila all’estero.
De Benedetti cerca una soluzione interna e nel 1988 dà mandato
all’ingegner Vittorio Cassoni di “razionalizzare” risorse e costi smembrando in quattro società la Olivetti, unitaria organicamente secondo le idee organizzative e i valori culturali di Adriano,. Sul campo se ne sarebbe presto dimostrata la controproduttività. Anche la politica di cercar di raccogliere una galassia di società di software, affidata a Franco Debenedetti fratello di Carlo, non ottiene miglior risultato, condotta com’è più come shopping che come investimento (certo, non facile né a ritorno immediato).
Sono anni di molte mosse, da parte di Carlo De Benedetti, assai
apprezzate dalla stampa amica (“Espresso”, “Repubblica”). Sono anche gli anni in cui la stampa francese si è creata una costellazione di eroi italiani neorinascimentali, detti “Les condottieri” (da pronunciare con l’accento sulla “i” finale): l’Avvocato, il Cavaliere, il Contadino, l’Ingegnere (soluzione: Agnelli, Berlusconi, Gardini, De Benedetti).
Un elenco incompleto delle iniziative extra moenia di De Benedetti
ne assomma almeno sette: - l’ingresso nel Banco Ambrosiano di Roberto Calvi (1981);- l’acquisizione nel perimetro CIR di varie società di meccanica (Sasib Bologna, Fiaam Filter poi Sogefi di Mantova, Reina Ferroviaria ecc.) e l’ingresso nel capitale della Volkswagen (per conquistare la Triumph Adler concorrente in macchine per scrivere); - l’alleanza con la conglomerata francese Saint-Gobain (1980); - l’acquisizione dall’IRI del gruppo alimentare SME (Cirio, Buitoni, Perugina) nel 1985:
- l’ingresso (1986) nella finanziaria francese Cerus (da cui oltre alla società di componentistica automotive Valeo venne la pedana per la più ambiziosa delle scalate ossia a…- la Société Generale de Belgique (1988). Tra il 1989 e il 1991, la cosiddetta “battaglia di Segrate” per il possesso della Mondadori.
Ognuna di queste iniziative ebbe una sorte propria. La prima fu
breve e oscura ma dal processo De Benedetti uscì assolto. La seconda fu proficua per anni. La terza fu bloccata dalle nazionalizzazioni del “primo” Mitterrand, appena eletto Presidente della Repubblica francese; la quarta, dall’opposizione del Presidente del consiglio dell’epoca, Bettino Craxi, che la giudicò una svendita. La campagna del Belgio si rivelò tanto eclatante quanto vana. Dell’ultima sono state piene le cronache giudiziarie e continuano a esserlo.
Se questi sono i dati i cronaca quel che qui e ora interessa sono le
linee di faglia con la “capogruppo” – la Olivetti. È difficile non concludere in un giudizio di mosse “controrotanti”. In alcuni casi il movente è la verticalizzazione; in altri la conglomerizzazione; in quasi tutti la finanza fa premio sulla sinergie.
Sarebbe interessante aver tempo e voglia di applicarsi a uno di quegli
“esercizi di scuola” che si praticano nelle scuole di management americane: che cosa sarebbe successo all’Olivetti se una o più di queste iniziative di De Benedetti avessero avuto successo? Che ne sarebbe stato del core business? Sarebbe rimasta al centro di un nuovo e composito perimetro o sarebbe stata emarginata come una bellezza sfiorita?
Se posso citarmi, io ho scritto: alleanze, investimenti, intraprese, che
“la fanno diventare una società la cui mission si trasforma in una serie di mission subalterne a mission allogene, allotrie, patogene. Questo è l'olivetticidio”.
Forse De Benedetti aveva letto il discorso che Adriano Olivetti tenne
a Pozzuoli «Può l'industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell'indice dei profitti?» e forse no. In ogni caso con un giornalista nel 1984 le sue idee erano chiarissime:
“Al management erano state date in pasto delle cose alternative
rispetto ai valori, a mio parere fondamentali soprattutto per il top management, che sono le responsabilità di far funzionare quella macchina che ho definito un insieme di uomini e mezzi per produrre ricchezza. Poi magari gli dici che l'azienda esprime una cultura, ma queste sono normalmente delle palle.”. Anni dopo e in occasioni ufficiali e celebrative addolcirà il suo lessico e avrà accenti da amarcord – naturalmente, “buona la prima”.
Nel gennaio 1991, il primo ricorso alla cassa integrazione: 4mila in
Italia, 3mila all’estero. Governo e sindacato controfirmano le uscite “a rotazione”, incluso l’assorbimento di 500 persone da parte della Pubblica
Amministrazione. Altri e più consistenti ricorsi seguiranno.
Nel mutamento prodotto dalle liberalizzazioni di Bruxelles tra il
1988 e il '91 Elserino Piol coglie le potenzialità delle nuove tecnologie nel mercato TLC – la telefonia «mobile» – e convince De Benedetti (il bilancio del 1991 fu il primo “rosso” dopo il 1975). Olivetti fa nascere Omnitel, più tardi Infostrada: il primo ministro uscente Ciampi controfirma il decreto di aggiudicazione d’asta il 28 marzo 1994 cioè un giorno prima che le urne facciano vincere Berlusconi, storico antagonista di De Benedett
Però la storia si ripete. La telefonia è servizi e quindi è corretto
acquistare/rivendere; ma – ad esempio – i finlandesi della Nokia non si dimenticano di esser nati industriali e i telefonini non si limitano a commercializzarli: li producono dopo averli progettati. Software e design: ossia competitività sul mercato. Per contro, quando le nuove società di telecomunicazioni saranno pingui di clienti, Olivetti (De Benedetti, Colannino) le venderanno all’estero (Mannesmann, Vodafone).
Il 3 settembre 1996 De Benedetti passa la mano al prescelto Roberto
Colaninno, i dipendenti nel mondo sono ancora 26mila, in Italia 13mila.
5. La Olivetti di Roberto Colaninno
Il segno forte del quinquennio colaninniano è noto. È l’OPA su
Telecom Italia, nel 1999, per la quale Colannino raccoglie una cordata mantovana-bresciana (i leggendari “capitani coraggiosi” dell’amico e primo ministro dell’epoca Massimo D’Alema). Quel che resta della società Olivetti è usato nella manovra borsistica e quindi bruciato in quanto tale.
Dismissioni, ristrutturazioni, tagli di rami e alla fine del fusto: alla
strategia di Colannino non si può negare una sua consequenzialità. L’acme è toccato nell’aprile del 1997 con la cessione della OPC (Olivetti Personal Computers) alla Centenary/Piedmont, “mettendo fine a quarant’anni di impegno dell’Italia nella costruzione di computer” (Chandler). Quell’improbabile consorzio americano sarà dichiarato fallito il 12 maggio 1999.
Vicende e anni non facili da ricostruire perché i documenti stanno in
tre tipi di archivi: societari, delle Camere di Commercio, dei Tribunali. Per dire, ecco un’ANSA datata TORINO, 21 GENN. 2010: ' Non doversi procedere' perché i reati sono caduti in prescrizione. A Torino si è chiuso così il processo d'appello per il crac della Op Computer, ramo d'azienda ceduto dalla Olivetti nel 1997, che segnò la fine, all'epoca, della più grande azienda informatica d'Italia. La sentenza riguarda l'ex vertice Edward Gottesman, Herbert Oakes, Antonio Cuccurullo, Roberto Schisano, Giovanni Vaccarono e Francesco Vaccarella, tutti condannati in primo
Ancor più lugubri i rivoli successivi delle attività di Scarmagno e
altre sedi: il passaggio alla Finmek di Carlo Furchir, finito in Tribunale; i travasi di lavoratori in Agile-Eutelia, la cui non finita odissea è inenarrabile. 6 La Olivetti di Marco Tronchetti Provera/Pirelli
Quando nel luglio 2001 tramite una società di nuovo conio, Olimpia,
subentra la Pirelli, i dipendenti sono 4mila in Italia, 6.500 all’estero. Una serie di operazioni finanziarie “accorcia e semplifica”, come dicono i comunicati ufficiali, “la catena di controllo”: fusione per incorporazione di Olivetti in Telecom Italia assumendone il nome, cancellazione del titolo dal listino della Borsa di Milano.
All’operazione si era opposto l’AD di Telecom Franco Bernabè. Nel
2007 Bernabè si è ripreso il posto di Tronchetti Provera.
Tra le controllate Telecom continua a figurare Olivetti Tecnost. È
ora amministrata da Patrizia Grieco e commercializza fax e stampanti a tecnologia ink-jet. Una tecnologia proprietaria, che viene da lontano.
7. Conclusioni provvisorie tra storia ed etica
Lo sfondo del crack & crash olivettiano dal 1980 circa a oggi è
certamente costituito dalla messa in crisi nel mondo intero del modello della grande industria. Gli studi di Giuseppe Berta non sono gli unici, e come sappiamo all’orizzonte lampeggiano e tuonano gli obici della globalizzazione. E tuttavia questa spiegazione generale non ci toglie dalla responsabilità di una comprensione specifica e di un impegnativo giudizio.
Un nodo resta ancora da sciogliere. Elserino Piol ha scritto: “.la
distruzione ‘con metodo’ di Olivetti”. Sta analizzando la fase di passaggio tra De Benedetti e Colaninno. “Con metodo” è tra virgolette. L’allusione non è stata ancora sciolta, la reticenza alimenta il sospetto.
Dalla ricostruzione precedente, basata su dati e fatti, emergono
dunque le premesse per continuare il discorso approfondendolo in termini di ricerca della verità. Una sorta di “Tribunale Russell” potrebbe esser creato per svolgere un’analisi documentale che, senza pregiudizi né timori e con molto coraggio, possa servire almeno a spiegare all’ opinione pubblica che “così non si fa”. Se si è trattato di delitti non codificati da nessun codice, si è trattato di atti gravi, rimasti impuniti storicamente ed eticamente. E che comunque non devono esser ripetuti.
La miglior fonte di dati e testimonianze sono le 640 pagine di Uomini e lavoro alla Olivetti, a cura di Francesco Novara, Renato Rozzi e Roberta Garruccio, Postfazione di Giulio Sapelli, Bruno Mondadori Editore, Milano 2005.
Lorenzo Soria, Informatica: l’occasione perduta, La Divisione elettronica dell’Olivetti nei primi anni del centrosinistra, Einaudi, Torino 1979.
Alfred D. Chandler, La rivoluzione elettronica. I protagonisti dell’elettronica e dell’informatica, trad. it. di Michele Pacifico, Milano, Università Bocconi Editore, Milano 2003. Il paragrafo dedicato all’Olivetti (unico relativo a società europee) si legge alle pagg. 220-222.
Elserino Piol, Il sogno di un’impresa. Dall’Olivetti al venture capital: una vita nell’Information Technology. Prefazione di Luciano Gallino, Il Sole 24 Ore, Milano 2004 (la citazione è a pag. 246). La questione settentrionale. Economia e società in trasformazione, a cura di Giuseppe Berta, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2008, contiene due importanti saggi:Fabio Lavista, Il declino della grande impresa, pp. 229-272;Paolo Bricco, Dalla crisi della grande impresa all’imprenditorialità diffusa: la Olivetti e l’Eporediese, pp. 323-378 (analisi dei bilanci e 50 tabelle statistiche). Questo saggio è una delle fonti principali del presente contributo.
Sintesi dei molti aspetti della personalità anche etico-politica di Adriano Olivetti e della storia della società da Camillo Olivetti all’olivetticidio: Emilio Renzi, Comunità concreta. Le opere e il pensiero di Adriano Olivetti, Prefazione di Giuseppe Galasso, Guida Editore, Napoli 2008. L’autocitazione e la dichiarazione di De Benedetti sono a pag. 144, le parole di Adriano Olivetti a Pozzuoli a pag. 112.
AA. VV., Olivetti è ancora una sfida. Lavoro, Personale, Territorio in un’impresa responsabile, a cura di della Diocesi di Ivrea, Ivrea Grafica, 2010
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